Esserci o non esserci: sul web non è che il primo problema.
Ogni particolare è contenuto che resta, che può farsi esca o invito a cliccare altrove.
Content is king, si declama in svariati testi che trattano di web marketing o di reputation management.
Eppure qualcuno ancora trema di fronte al pensiero di esporsi in una o più vetrine globali; come se parlare di sé, della propria storia e del proprio business significasse mettersi a nudo di fronte a una schiera di voraci avvoltoi, pronti a postare il commento negativo o (che è peggio!) a fregargli le idee.
Altri invece considerano ancora le iniziative comunicative online come puro fumo, di fronte al saporito e ben cotto arrosto dei propri prodotti e servigi.
Ebbene, in un’epoca in cui i consumi si diradano per ben altri motivi e il potenziale cliente non chiama o non si presenta più spesso con la manifesta intenzione di acquistare, il sito web, il blog, i profili sociali non saranno la panacea di ogni male, ma di sicuro potranno iniziare a favorire il dialogo diretto col proprio target e, magari, rappresentare la tanto attesa occasione per ammodernare la propria brand image.
Avere il prodotto migliore senza farlo sapere o facendolo sapere in modo errato equivale a non averlo affatto
Se è vero che non si è finché l’altro non ci riconosce e che nessuno ci può riconoscere finché non percepisce la nostra presenza, l’essere sul web diventa molto più di un’operazione di marketing.
Comunicare il proprio valore
Da un lato costringe a saper comunicare il proprio valore aggiunto, a pensare con la testa del potenziale cliente che effettua una ricerca e legge recensioni, in pratica a non rimanere ancorati alla propria realtà e ai soli benefits offerti; avere il prodotto migliore senza farlo sapere o facendolo sapere in modo errato equivale del resto a non averlo affatto.
Dall’altro lato costruire un sito web è una vera e propria ricerca d’identità, in cui ogni colore, ogni testo, ogni soggetto fotografico comunica (anche inconsciamente) qualcosa e in cui occorre puntare al giusto compromesso tra web usability e personalità aziendale.
La questione quindi non riguarda più soltanto la possibilità di comparire tra i fatidici primi tre risultati su Google, ma soprattutto l’adozione di un vero e proprio modus operandi, che presuppone tanto il confronto vis-à-vis con i clienti (diventati nel frattempo fan o followers), quanto una mentalità aperta alle logiche del network, della relazione e dell’aggiornamento continuo, come continua è l’evoluzione del fluido magmatico del web.
Il web fa di ciascuno l’editore di se stesso, con l’opportunità di diventare una fonte attendibile di informazioni e un esempio di expertise nel proprio settore
Oltre alle inserzioni pubblicitarie e agli spazi dedicati sui mass media, oggi esiste pertanto una nuova carta da giocare.
Il web fa di ciascuno l’editore di se stesso, un distributore di contenuti più o meno validi, con l’opportunità di diventare non solo un fornitore o produttore, ma anche una fonte attendibile di informazioni, un esempio di expertise nel proprio settore.
Ogni contenuto creato sarà inoltre un nuovo piccolo tassello, non fuggevole come un banner a tempo o un trafiletto dalle battute contate, ma rintracciabile in qualunque dove e per sempre.
Ma esiste un ulteriore e più che ragionevole motivo per pubblicare e condividere contenuti personalizzati: indipendentemente dalla nostra presenza online, l’utente del web 2.0 ama essere attivo, leggere i forum, chiedere consigli ai followers e, perché no, scrivere recensioni relative ai nostri prodotti su Google Places.
Visto che presumibilmente 14 milioni di utenti, collegati a internet per 1 ora e 28 minuti a persona nel giorno medio (secondo i dati Audiweb), comunque genereranno buzz, se non direttamente su di noi, sui nostri più prossimi competitors (spinti anche e soprattutto dall’esplosione della tecnologia mobile), tanto vale prendere le redini della conversazione, raccontando ciò che di noi vogliamo si sappia davvero.